A partire dallo scorso anno il mercato della tecnologia domestica è stato letteralmente rivoluzionato con la diffusione di dispositivi intelligenti costantemente connessi e in grado di rispondere a tutte (o quasi) le nostre domande: dalle informazioni sul meteo, alla ricetta da preparare all’ultimo minuto, dalla scelta della “playlist” più adatta come sottofondo ad una cena romantica, all’ascolto del “podcast” delle ultime notizie mentre si sorseggia il caffè della prima colazione: sistemi intelligenti che, grazie a sofisticati algoritmi di autoapprendimento, imparano non soltanto a riconoscere la nostra voce, ma anche le nostre abitudini di vita e i nostri interessi, suggerendoci il prossimo film da vedere in “streaming” o anticipandoci le condizioni del traffico prima di uscire per andare in ufficio.
Se la nostra casa diventa sempre più tecnologica, è l’interconnessione tra i dispositivi intelligenti a moltiplicare quasi all’infinito le possibilità di personalizzazione dei servizi, non solo di domotica e di intrattenimento, ma anche dedicati alla salute della persona.
Già da qualche anno, infatti, il mercato degli smartwatch è in crescita: Abi Research stima che, alla fine del 2018, siano 40 milioni gli orologi da polso in grado di monitorare il battito cardiaco e l’attività fisica compiuta giornalmente, offrendo all’utilizzatore costanti e dettagliate statistiche sul livello di attività fisica compiuta nell’arco della giornata, e suggerendo quali obiettivi raggiungere. Dispositivi che non sono soltanto destinati ad atleti o appassionati di fitness, ma che si trovano sempre più spesso al polso di giovani e meno giovani e che, grazie a design e materiali adatti o adattabili a tutti i contesti, vengono sfoggiati da manager, studenti, casalinghe e pensionati.
E così entro il 2023 saranno quasi 100 milioni le persone che, più o meno consapevolmente, invieranno i propri parametri vitali nel “cloud”, ovvero su server centrali che affinano sempre di più la conoscenza non solo delle nostre abitudini, ma anche del nostro stato di salute.
La School of Management del Politecnico di Milano ha presentato, nei giorni scorsi, i risultati di una ricerca su questo fenomeno dai quali emerge che manca ancora la consapevolezza, da parte dei consumatori, delle reali potenzialità (e rischi?) dei dispositivi smart.
Ma, evidentemente, osservatori più attenti hanno già fiutato da tempo l’opportunità di sfruttare al meglio questa tecnologia: parliamo delle compagnie di assicurazioni.
A quanto pare lo smartwatch sta per diventare per la persona fisica ciò che la scatola nera già da qualche anno è per l’automobile: uno strumento in grado di far sapere alla compagnia in tempo reale praticamente tutto ciò che gli serve per calibrare nel dettaglio la copertura assicurativa. E magari per negare l’indennizzo.
Già, perchè il rischio di errore, come per tutti i dispositivi elettronici, è sempre dietro l’angolo. D’altra parte, come nel settore RC Auto si verificano con preoccupante frequenza malfunzionamenti nelle scatole nere che portano a negazioni di risarcimenti difficilmente contestabili se non tramite lunghe e costose perizie (pensiamo a casi di inesatto rilevamento della velocità o dello stato di movimento del veicolo, per non parlare delle errate geolocalizzazioni del mezzo al momento del sinistro) è lecito supporre che dispositivi che hanno il compito di rilevare e memorizzare dati delicati come quelli relativi ai parametri vitali siano potenzialmente soggetti ai medesimi problemi e approssimazioni, nonchè all’evidente difficoltà da parte dell’assicurato di provarne l’eventuale errore.
Ciononostante siamo certi che, sull’onda dell’entusiasmo per queste nuove tecnologie, sarà facile per le compagnie trovare consensi tra gli assicurati ai quali verrà proposto un monitoraggio costante del proprio stato di salute.
Se poi lo smartwatch viene “regalato” al sottoscrittore addirittura con uno sconto sul premio (come accade già per i clienti della compagnia americana John Hancock), allora il gioco è fatto. Non vuoi rinunciare al tuo cronografo analogico? Nessun problema, è già pronto il patch adesivo (o, detto più semplicemente, il “cerotto”) digitale, che permette alla compagnia di acquisire tutte le tue informazioni genomiche e i tuoi parametri vitali così da mappare i rischi in maniera mirata e specifica per la tua copertura assicurativa.
Intervenuta il 15 febbraio scorso in occasione del secondo meeting annuale dell’osservatorio “Innovation by Ania”, la presidente dell’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici, Maria Bianca Farina, è apparsa entusiasta di queste innovazioni: “Se ben utilizzata e guidata dal buonsenso, la tecnologia – ha commentato – sarà un supporto enorme per il nostro futuro, soprattutto nel campo della salute”.
Resta da capire come tali sistemi di controllo in tempo reale del rischio assicurato modificheranno il costo delle polizze. Semplificando, ricordiamo che nel contratto assicurativo è previsto che la compagnia si assuma l’impegno di rivalere l’assicurato del danno da questi subìto in occasione di un sinistro, o a pagargli un somma al verificarsi di un determinato evento, a fronte del pagamento di un “premio”.
Ebbene, l’incertezza sul verificarsi del sinistro costituisce la cosiddetta “alea”, ovvero il rischio che la compagnia si assume. In teoria più alto è il “rischio”, maggiore sarà il premio da pagare.
Se il cerotto tecnologico permetterà alle compagnie di avere una maggiore contezza dello stato di salute del cliente e, quindi, del rischio assunto, siamo così sicuri che la messa a disposizione di questi dati porterà ad una riduzione significativa dei premi? O sarà soltanto l’ennesimo strumento in mano alle compagnie per negare il riconoscimento di quanto spetterebbe all’assicurato?
Solo il tempo potrà dirlo.